giovedì 5 febbraio 2009

ELUANA ENGLARO

Tratto da "La Repubblica"



Beppino Englaro: "Molti negano la realtà, io voglio solo liberare mia figlia"



Il primario della clinica: "Di fronte a me una persona diversa da come l'avevo immaginata"
"Lei ormai è un simbolo sopravviverà anche a me"
"Ho chiesto il silenzio ma non voglio fermare il dibattito della ragione"



dal nostro inviato PIERO COLAPRICO

Beppino Englaro


UDINE - Il letto sul quale Eluana è stata accudita per tanti anni, è lo stesso sul quale morirà. Le mani di chi ha nettato, carezzato, pettinato, lavato, nutrito questa donna l'altra notte hanno consegnato questo oggetto di stoffa e gomma, così importante, così delicato, nelle mani di chi non la nutrirà più, anzi la lascerà andare. Il mondo è sempre un po' più complicato, o più semplice, quando si sta attenti a qualche dettaglio, come al materasso sul quale Eluana Englaro ora giace, al piano terra della clinica "La Quiete di Udine".



Anche il nutrimento è lo stesso di Lecco, quel sacco di plastica con liquidi, medicinali, proteine e altro che, attraverso il sondino nasogastrico, permette a questa paziente trentottenne di sopravvivere. Le suore Misericordine, nella notte tra lunedì e martedì, hanno dato quello che potevano al primario di Udine: una specie di "portati qualche cosa per il tuo viaggio, Eluana", uno scambio umano e clinico, amichevole e tecnico. Ma chissà quanto doloroso, chissà quanto tragico, tra chi ha invocato per Eluana la vita a qualunque costo e chi lascerà che invece la morte su Eluana proceda.



Sembra davvero che le manifestazioni, gli anatemi, le emozioni delle persone comuni e le polemiche anche un po' incontinenti della politica non possano arrivare più in queste due stanze e un bagno, dove la vita e la morte, la non-vita e la non-morte sono concrete come il colore giallo della parete di fronte al letto di Eluana. L'unica finestra, coperta da tende, è affacciata su via Pracchiuso, la via dov'è nata la fotografa, femminista e rivoluzionaria Tina Modotti. Due guardie giurate dentro, poliziotti, carabinieri e vigili fuori tengono lontani i curiosi. Ma sino al momento, intorno alla casa di cura friulana, le ore scorrono neutrali.



Papà Beppino, una camicia a righine senza cravatta, la giacca beige, i lineamenti tesi, quasi da scultura africana, compare intorno alle 18 nello studio dell'avvocato Giuseppe Campeis. Ha appena visto sua figlia, ha anche parlato con i medici e alcuni infermieri, ha chiuso con una sua firma gli atti necessari al ricovero. I vetri oscurati dell'auto messa a disposizione da un amico hanno retto ai flash.


"C'è un limite, c'è un momento in cui intorno a un letto di ospedale viene tirata un tenda, o no? Non voglio nascondere nulla - si sfoga papà Beppino - anzi rifarei tutto daccapo, in questa battaglia che era ed è la stessa di mia figlia. Credo anche che la libertà e la forza di volontà sopravvivono a Eluana e sopravviveranno anche a me". Papà Beppino scuote la testa, deve scacciare la stanchezza di una notte insonne: "Tutti - continua, come se parlasse tra sé - sono liberi di giudicarmi, l'hanno già fatto e lo faranno. Anche adesso lo fanno, ma io chiedo, chiedo davvero il silenzio.



Il silenzio io stesso l'ho rotto, è vero, ma non voglio fermare il dibattito della ragione che, ancora una volta, io stesso ho fortemente voluto. Sui diritti e la libertà e il ruolo delle leggi il dibattito è fondamentale. Che continui e si sviluppi la discussione se è giusto o se è legale interrompere un vita artificiale, e se e come e chi ha il diritto di farlo, massì. Ma credo davvero che sia necessario che tutto questo si svolga un po' più lontano dal corpo di Eluana.



Direi lo stesso se non fosse mia figlia, se non fossi io il padre. Non stiamo parlando solo di politica, di affari legali o di medicina, ma di quello che accade durante una malattia. Ha senso che vengano descritti giorno per giorno i dettagli operativi, buttandoli in pasto a chi con essi si vuole commuovere, emozionare, adirare?". La domanda è questa, resta nell'aria, papà Beppino vuole il silenzio, lo dice, e se n'è andato a sedere in un angolo del tavolone dello studio legale.



Ascolta noi giornalisti chiedere come "funziona" il meccanismo studiato per far sì che la sentenza della corte d'appello di Milano sia rispettata in ogni dettaglio. E possa reggere all'azione penale, prevedibile, che sarà aperta dal procuratore capo di Udine come "atto dovuto". Campeis è rilassato come un generale che ha protetto il suo esercito: "Vedete, cari signori, non siamo in una clinica, e non siamo a carico dell'azienda sanitaria regionale, alla quale Eluana non costa un euro". Anche i medici e gli infermieri agiranno da volontari, ma hanno "una soggettività" che deriva dall'associazione "Pro-Eluana", appena costituita.



L'avvocato aggiunge serafico quanto sia stato "determinante" il sindaco di Udine Furio Honsell, allontana qualsiasi polemica con il ministero del Welfare, resta soft, ma è papà Beppino a lasciarsi sfuggire ancora una frase: "Questi sono negazionisti del diritto, negazionisti della realtà", sì, non ne può più di ascoltare commenti sradicati dai principi di diritto. Il primario dell'ospedale pubblico, Amato De Monte, specialista di rianimazione, anestesia e farmacologia clinica, la pensa allo stesso modo: "E poi, il cervello di Eluana non è in grado di provare sofferenza. Il papà dice di volerla liberare, ha usato questa parola, che non dimenticherò mai.



Penso che Beppino sia doppiamente devastato, per la vicenda di Eluana e per la grave malattia che la moglie sta soffrendo. Il viaggio da Lecco a Udine è stato angosciante, Eluana ci è sempre stata presentata nel fiore della giovinezza, mi sono trovato di fronte una persona completamente diversa", dice. Anche per lui, come per i genitori, "Eluana è morta diciassette anni fa. Mi sento di invitare tutti a non pensare cosa potrebbe provare Eluana, ma di pensare se si è disposti a vegetare per diciassette anni come Eluana".



Sulla parete dell'ufficio c'è una foto che ritrae il medico - ancora il mondo del reale che fa irruzione nel mondo delle parole - con madre Teresa di Calcutta. Era l'89, stavano in Armenia, per aiutare i feriti del terremoto, De Monte faceva il volontario con gli alpini. Adesso, nonostante il fisico da mediomassimo, si sente "devastato come padre, come uomo, come medico e come cittadino, ma tutto questo passa in secondo piano davanti al dolore della famiglia Englaro".



Ma se mamma Sati s'è consumata nel dolore, papà Beppino lo tiene a bada, lo difende e quasi lo custodisce: "E' il tempo che hai perduto per la tua rosa che rende la tua rosa così importante", si legge nel "Piccolo principe", libriccino che non mancava nella libreria dell'"Eluanina". Come ancora la chiama, quando si china a darle un bacio.




A presto Luciana