domenica 12 febbraio 2012

 (Edith Stein)


Tratto da: EDITH STEIN, Il problema dell’ empatia,  a cura di Elio Costantini, ed Studium Roma 2009

“ Husserl si occupa di alcune questioni riguardanti l’empatia, non già come problema a se stante, bensì come presupposto che consente di giungere alla conoscenza di un mondo oggettivo”

Invece la Stein nel suo lavoro di tesi tematizza l’argomento dell’empatia in tutti i suoi aspetti positivi e negativi, e dimostra come attraverso l’empatia si pervenga alla conoscenza estranea.

E’in questa analisi che ella dà il proprio contributo alla soluzione del problema dell’empatia, sia in sede storica sia in sede teorica”.

Mentre Husserl sottolinea il ruolo dell’empatia ai fini della costituzione di un mondo oggettivo, la Stein analizza il concetto di empatia, ne definisce l’essenza, ne chiarisce la genesi e ne indica la modalità di attuazione. In altre parole compie il tentativo di costruire una Fenomenologia dell’empatia .

Husserl descrive l’atto empatico come atto finalizzato per la costituzione della realtà “Io-Uomo”. Ecco che cosa scrive a questo proposito: mentre il corpo proprio estraneo ( che mi si presenta come corpo fisico tra altri corpi fisici) mi viene dato nella percezione originaria, “soltanto con l’empatia, col costante dirigersi delle osservazioni sperimentali verso la vita psichica rappresentata insieme col corpo proprio estraneo […], si costituisce la conchiusa unità uomo, unità che poi io traspongo su me stesso”.

Dopo aver precisato che la psiche non è in nessun luogo, e che la sua connessione col corpo proprio è fondata soltanto da nessi funzionali, Husserl osserva che “ Per stabilire un rapporto, una relazione tra me e un altro, per comunicare a un altro qualcosa ecc. deve stabilirsi una relazione corporea, una connessione corporea attraverso processi fisici.

Io devo andare da lui a parlargli. Sicchè lo spazio svolge un ruolo importante, e così il tempo […]. Il fatto che il corpo proprio e la psiche formano una peculiare unità per l’esperienza e che in virtù di questa unità lo psichico viene ad avere un suo posto nello spazio e nel tempo, costituisce la base di una legittima neutralizzazione della coscienza, così localizzati temporalizzati ci si presentano i soggetti estranei”. Da queste due citazioni risulta che lo scopo di Husserl, nel trattare il tema dell’ empatia, e’ quello di dimostrare come attraverso di essa si pervenga alla costituzione

dell’ ”Io-Uomo”. Al contrario la Stein, nell’analizzare il concetto di Empatia, chiarisce qual e’ il suo significato specifico come atto di conoscenza “Sui Generis” I chiarimenti opportuni sono da lei forniti nella parte seconda del suo lavoro, al paragrafo II , attraverso un esempio:” Un amico viene da me e mi dice di aver perduto un fratello ed io mi rendo conto del suo dolore “. La Stein rileva che il punto da chiarire nell’esempio addotto è il seguente: “ Che cos’è questo rendersi conto?”. Esplicitare tale atto significa definire l’essenza dell’empatia, prescindendo dal fatto di sapere su che cosa esso si basi e donde io so di questo dolore”.

Dopo aver precisato che l’esperienza empatica è sempre originaria in quanto vissuto presente, mentre è non originario il suo contenuto, la Stein analizza nel modo seguente l’atto di “rendersi conto”: “Nell’istante in cui il vissuto emerge improvvisamente davanti a me, io l’ho davanti come oggetto ( ad esempio l’esperienza di dolore che riesco a “leggere nel volto” di un altro); mentre però mi rivolgo alla tendenza in esso emplicita e cerco di portarmi a datità più chiara lo stato d’animo in cui l’altro si ritrova, quel vissuto non è più oggetto nel vero senso della parola, dal momento che mi ha attratto dentro di sè, per cui io adesso non sono più rivolto a quel vissuto, ma, immedesimandomi in esso, sono rivolto al suo oggetto, lo stato d’animo altrui, e sono presso il suo oggetto, al suo posto. Soltanto dopo la chiarificazione cui si è pervenuti mediante l’attuazione giunta a compimento, il vissuto stesso torna di nuovo dinanzi a me come oggetto. Questa analisi consente di individuare tre gradi di attuazione dell’empatia:

I. Il vissuto altrui emerge improvvisamente davanti a me.

II. Viene attualizzato il vissuto nel momento in cui porto a compimento la tendenza in esso implicita, ovvero sono coinvolto nello stato d’animo altrui (Esperisco il dolore vissuto dall’amico)

III. Il vissuto esplicitato viene oggettivato, ossia ritorna dinanzi a me come oggetto correlativo alla coscienza.

Nel primo e nel terzo grado l’atto di “rendersi conto” del vissuto altrui corrisponde in modo non-originario alla percezione anche questa non-originaria, del dolore altrui ”visto” come oggetto, mentre nel secondo lo stesso atto corrisponde all’ esperienza empatica portata a compimento: vivo il vissuto altrui come se fosse mio. E’ quindi nel secondo grado che l’empatia si consuma pienamente, raggiunge la sua pienezza. Non sempre però si attuano tutti e tre i gradi, a volte ci si accontenta di realizzare il grado inferiore. Qualora invece l’atto empatico giunga alla sua piena attuazione, “ io mi sento accompagnato da una esperienza vissuta originaria, la quale non è stata vissuta da me, eppure si annunzia in me, manifestandosi nella mia esperienza vissuta non-originaria”.

Il risultato a cui la Stein perviene attraverso le sue analisi è questo: l’atto empatico, contrariamente al modo in cui è inteso dagli psicologi che si sono occupati dell’empatia, non è una sensazione, ne un sentimento, nè un atto della percezione interna di sè, e tanto meno è riconducibile al ricordo e all’ immaginazione, ma è atto concreto e originario, attraverso il quale possiamo cogliere in modo non-originario un vissuto estraneo”.

L’empatia dunque non è l’unipatia e non è neppure un co-sentire.

Il soggetto dell’empatia non è l’Io e nemmeno la pluralità degli individui psicofisici, è bensì il Noi. Quando un evento coinvolge più persone, il sentimento suscitato è lo stesso, ma diverso è il modo di sentirlo. Il processo empatico che si verifica in casi del genere porta a questo risultato:” Ciò che gli altri ora avvertono l’ho visivamente davanti a me, assume la forma di un corpo proprio e vive attraverso il mio sentire”. E’ in quel momento che dall’Io e dal Tu emerge il Noi in guisa di un soggetto di grado più elevato”.

La Stein tratterà l’empatia come comprensione delle persone spirituali, essa non si occupa del problema intersoggettivo, ma si sforza di approfondire il tema dell’empatia, nell’ambito dello spirito, avviando così una Fenomenologia dell’Empatia come lo stesso Husserl riconosce nel suo giudizio sul lavoro dell’allieva.

E’ soprattutto in questo ambito che si rivela l’importanza dell’empatia come comprensione del vissuto estraneo: “Io vivo ciascuna azione di un altro come azione che procede da un volere e questo a sua volta da un sentire; con ciò mi viene dato simultaneamente uno strato della sua persona e un ambito di valori, che per lui sono esperibili in linea di principio, ambito che a sua volta motiva in maniera significante tanto l’attesa di atti volitivi futuri possibili quanto di azioni possibili”.

Proseguendo nella sua descrizione, il risultato a cui ella perviene è che: “ Una singola azione ed altrettanto una singola espressione

– uno sguardo o un sorriso- possono perciò offrirmi la possibilità

di gettare uno sguardo nel nucleo della persona”.

Quanto sopra affermato conferma l’importanza dell’osservazione attenta del non verbale. La Stein parte dalla “Riduzione Fenomenologica” E aggiunge: “ Scopo della Fenomenologia è la chiarificazione con ciò l’ultima fondazione di ogni conoscenza, per raggiungere tale scopo, la Fenomenologia esclude dalle sue considerazioni tutto ciò di cui si può dubitare e che può essere in qualche modo eliminato. Pertanto essa non si serve dapprima dei risultati acquisiti da altre scienze e non si basa dunque sulle scienze naturali”.

Tratto da: EDITH STEIN, Il problema dell’ empatia,  a cura di Elio Costantini, ed Studium Roma 2009

Luciana