lunedì 6 aprile 2009

L' altro e il rispetto dell'alterita'

Le opere principali di Levinas


L'essere come prevaricazione

Al centro dell'impianto filosofico di Levinas c'è l'affermazione che l'essere concepito dalla tradizione ontologica occidentale, l'essere che è totalità e riempie ogni spazio possibile poiché resta immutabile e eternamente fermo (l'essere parmenideo, per intenderci) è prevaricazione sulle differenze. Questo essere che riempe ogni spazio, oltre il quale non sembra possibile andare, è all'origine della negazione dell'Altro, la negazione di ogni possibilità diversa da sé. Ma è proprio nella negazione di ogni possibile differenza e alterità, dice Levinas, che risiede l'origine del senso del male in quanto sopraffazione, egoismo e violenza.
Dunque la radice della violenza e del male negli uomini proviene per Levinas dal pensiero dell'immutabilità dell'essere, caratteristica che impedisce all'alterità di manifestarsi entro la sua natura. In questo senso dell'essere vi è racchiusa l'ingiustizia dell'immutabile che impedisce alle differenze di mostrarsi per ciò che sono.

L'essere secondo la definizione greco-parmenidea è un concetto neutro, generale, a-personale. In questo senso dell'essere vi è racchiusa la pretesa di poter definire e raccogliere sotto un unico genere tutta la gamma di differenze che si manifestano, assoggettandole ad un'unica legge razionale. Ma l'essere che veramente ha un senso non è questo essere generale e a-personale, ma l'esserci concreto dell'uomo e delle cose (analogie con il pensiero di Heidegger). Ecco dunque che l'essere delle cose non è una categoria generale e omnicomprensiva ma è l'esistenza stessa degli esseri diversi, isolati l'uno dall'altro. La caratteristica propria degli esseri è la loro differenza e la loro distinzione gli uni dagli altri.
Il vero senso dell'essere è allora per Levinas la differenza irriducibile che sussiste tra i diversi esseri presenti nel mondo. L'essere come totalità che unisce le diversità sotto la sua unica essenza è privo di senso, in realtà esiste una molteplicità di "esserci" (nell'accezione heideggeriana), di uomini e cose esistenti individualmente e separatamente. Dice Levinas: "Tra esseri ci si può scambiare tutto tranne l'esistere". L'esistenza degli uomini e delle cose è distinta, dai rapporti che intercorrono tra i diversi esseri isolati l'uno dall'altro nasce l'esperienza della vita.

L'etica dell'Altro da sé

Da questo preambolo ontologico Levinas fa derivare i fondamenti di una nuova etica. Se la caratteristica saliente dell'essere della tradizione filosofica è quella di negare l'alterità (negare la differenza irriducibile tra ente e altro ente), allora l'etica umana può ora finalmente muovere da orizzonti rinnovati rivolgendosi al rispetto dell'alterità di ogni essente e non già al conformarsi a un fondamento unico e immutabile (Levinas chiama questo atteggiamento ossessione dell'essere).

Prendendo coscienza che gli altri individui sono qualcosa di totalmente altro rispetto al nostro essere possiamo definire il senso di una nuova etica: io non posso assimilare l'Altro a me, l'Altro (ovvero l'individuo diverso e distinto da me) è inaccessibile al mio sentire, perché io non sento e non vivo la sua vita. L'Altro rimane allora sempre distinto dal mio essere, rimane qualcosa di inaccessibile e misterioso che si svela solamente attraverso la comunicazione interpersonale.
Nella vita quotidiana l'uomo pensa secondo le categorie dell'essere omnicomprensivo, pensa come se comprendesse veramente ciò che vive l'Altro, ma questo non è possibile. L'essenza vera dell'uomo è quella dell'isolamento dagli altri esseri.

Levinas afferma dunque che l'etica dell'Altro da sé muove dalla consapevolezza che ogni individualità deve rispettare la differenza dell'altro, differenza che è mistero incommensurabile, in quanto nulla possiamo sapere degli altri. Ciò che crediamo di sapere degli altri è solo una nostra immagine degli altri, in realtà gli altri sono inaccessibili alla nostra vera conoscenza.
Nulla può condurre il mio io ad abbracciare veramente l'altro essere, nemmeno l'amore inteso come volontà di fondersi con l'altro. In realtà l'uomo può solo tendere verso l'altro, riconoscendo la differenza infinita che sussiste tra essere ed essere.

Dunque pensare a una essenza che accomuna tutti gli uomini nasconde la radice della violenza: in questo senso delle cose l'uomo crede realmente di poter possedere una parte dell'altro in quanto vi è in comune qualcosa di essenziale. In realtà, spiega Levinas, non vi è essenza che possa unire i singoli essenti isolati l'uno dall'altro, per cui l'etica che deve guidare i rapporti tra gli uomini si fonda necessariamente sul riconoscimento di questa differenza incommensurabile tra gli enti e sulla responsabilità che ogni singolo uomo contrae verso il mistero inaccessibile dell'Altro (il mistero costituito dagli altri individui, inaccessibili alla nostra vera conoscenza).

Il desiderio di infinito
In questa visione filosofica dove si pone la figura del divino? Levinas è un filosofo ebreo che ha studiato e commentato il Talmud, ponendosi in una prospettiva quasi teologica. Rimanendo influenzato dal clima culturale della tradizione ebraica, Levinas afferma che la fede in Dio è il desiderio mai appagato di infinito. Il divino non si mostra, è silente anche davanti alla tragedia (Levinas ha vissuto l'epoca dell'olocausto), tuttavia vi è una traccia del divino nel desiderio di Dio, il desiderio dell'infinito, dell'assolutamente Altro inaccessibile all'essere individuale dell'uomo.

"Nessun viaggio, nessun cambiamento di clima o di sfondo" - così egli scrive nella maggiore delle sue opere, Totalità e infinito - sarebbero in grado di soddisfare il "Desiderio". Dio è "assolutamente scomparso, assolutamente passato", un passato assolutamente immemorabile, le cui "tracce", nelle quali soltanto l'uomo può imbattersi, sono unicamente quelle di un misterioso viandante che ha voluto cancellare le proprie tracce e che quindi "non ha voluto dire e non ha voluto fare nulla con le tracce che lascia". (E. Severino, La legna e la cenere). (questi temi saranno importanti per lo sviluppo del pensiero di Derrida, soprattutto per i concetti di differànce e di traccia dell'essere).

Dunque Dio è il Desiderabile, pur non mostrandosi all'uomo Egli è l'oggetto del suo desiderio. Ma questo desiderio non si fonda su una vana volontà di desiderare, il desiderio viene suscitato dal Desiderabile, ovvero il moto dell'animo che porta l'uomo a desiderare l'infinito altro da sé è suscitato al fondo dalla presenza del divino, che è assolutamente altro rispetto all'uomo. Dio esiste, ma non si mostra, e pur non mostrandosi suscita il desiderio di Sé negli uomini (la fede).

Solo attuando questo moto dell'animo, solo desiderando l'infinito altro da sé, l'uomo può spezzare la catena dell'essere come totalità. Entro questo senso prevaricante l'uomo è costretto a ritornare entro l'essere, a non riconoscere la diversità e la differenza irriducibile. Ma quando l'uomo finalmente comprende la verità della differenza ontologica di ciascun ente dall'altro (e la verità suprema che si compie nella diversità assoluta del divino rispetto all'uomo), allora l'uomo è in grado di porsi in viaggio verso l'infinito, in un moto che mai si esaurisce verso la presenza infinitamente distante ma infinitamente desiderata di Dio.


A presto Luciana